ROMA COME TUNISI

Serve un ripensamento dello smart-working e dell’orario di lavoro

All’inizio si diceva che le città sarebbero divenute invivibili (con conseguenti esodi di massa…) nel 2100. Poi qualche anno fa hanno abbassato la previsione al 2050. E invece… il futuro è già qui, oggi:

Le città sono trappole: Parigi e Roma sono diventate come Tunisi

(Corriere della Sera, 1° luglio ‘25

E se Roma è come Tunisi, Milano a tendere è come Islamabad(a causa della maggiore umidità). Ora, per carità, nessuno vuole estremizzare e dire che il paragone riferito all’estate 2025 valga già per tutto l’anno, ma basta che l’equipollenza climatica ci sia per i 3 mesi estivi per rendere la vita a noi tutti assai più difficile: siamo geneticamente inadatti a questo clima (Pievani, Corriere della sera, 2 luglio ’25).

E un grado in più sulla media stagionale corrisponde a un incremento del tasso di mortalità di circa l’1-2%; in questi giorni si raggiungono anomalie fino a +5 gradi…

Tutta l’Italia è in una morsa di fuoco ma è sufficiente limitarci a Roma e Milano per aver chiara la dimensione del problema.

Tra Roma e Milano lavorano i tre quarti dei colleghi. I dati climatici attestano che – almeno nei mesi estivi – è come se li avessimo temporaneamente trasferiti nelle due città sub-tropicali richiamate, così climaticamente poco vivibili. Ce ne siamo accorti?

Che cosa penseremmo se ci dicessero esplicitamente che per alcuni mesi la sede della Banca d’Italia si trasferisce a Tunisi? Per prima cosa, forse, che dobbiamo adattare l’organizzazione del lavoro a un contesto diverso.

Ecco, con le ondate di calore di quest’estate è come se ci fossimo trasferiti eppure l’organizzazione del lavoro è rimasta la stessa.

Certo, siamo consapevoli che, nella situazione data, lavoriamo in ambienti comunque abbastanza confortevoli ma consideriamo gli spostamenti e soprattutto i figli.  In città surriscaldate, cosa possono fare durante l’estate se non rimanere rintanati in appartamento? Non tutti hanno la fortuna di poter accedere quotidianamente al Centro sportivo o di avere nonni e familiari disponibili fuori città presso i quali distaccare la prole. E anche ove questo fosse praticabile, non è comunque possibile teorizzare il “comando” della progenie per tre mesi consecutivi presso il Centro sportivo o accondiscendenti e giovanili nonni “extra-urbani”.

Peraltro, a Roma, a causa dei vari vincoli urbanistici, nemmeno tutti hanno la possibilità di avere l’aria condizionata in casa (SIDIEF docet). Con gravidanze e figli piccoli come si fa?

La tutela della genitorialità non può ridursi all’incentivazione dei concepimenti per contrastare la denatalità (fermo restando che pure su questo fronte, non si vedono in Italia chissà quali grandi sforzi…).

Insomma, per tutti coloro che vivono in città c’è un problema, non futuro ma attuale, che richiederebbe azioni immediate (non lunghe e articolate riflessioni, sulle quali siamo innegabilmente bravissimi). E queste azioni non sono solo dello Stato e delle sue articolazioni territoriali, ma in primis dei datori di lavoro, specialmente quando sono pubbliche amministrazioni (“Lo Stato ha l’obbligo della prevenzione”; Mattarella, 1° luglio ’25).

A questo proposito, la CIDA ha già sottoscritto il Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro.

Ciò posto, la decisione dell’Amministrazione (comunicata il 2 luglio) di disporre la temporanea chiusura di alcuni edifici a causa delle ondate termiche è misura necessaria, che conferma e allarga analoghi provvedimenti degli scorsi anni ma appare non sufficientemente coraggiosa per ampiezza e tempistica. Sarebbe in particolare utile – per la programmazione delle strutture e dei singoli – che siano definiti  a inizio d’anno i periodi nei quali chiudere gli stabili.

Servono in ogni casomisure strutturali

In Banca d’Italia, il delocalizzato è già possibile nella misura più ampia per una quota importante del personale, soprattutto dell’Amministrazione Centrale. Per tutelare la salute e i figli di tutti i dipendenti, dovunque addetti e le cui mansioni non richiedano necessariamente la presenza fisica in ufficio, chiediamo quindi una modifica della disciplina dello smart-working per consentire – a chi lo richieda – una maggiore delocalizzazione per tutto il periodo estivo.

Per tutti i dipendenti che invece debbano recarsi obbligatoriamente sul luogo di lavoro (per es. gli addetti ai servizi di pagamento), chiediamo all’Amministrazione di attivarsi per concedere adeguate forme di compensazione  e recupero delle prestazioni orarie rese in occasione di picchi di calore e, più in generale, una rimodulazione degli orari di operatività quando le condizioni climatiche esterne siano fonte di pericolo.

l diritto alla salute e la tutela dei nostri figli sono una priorità.

Proviamo a essere i primi a dare una risposta concreta al richiamo del Presidente della Repubblica.

Essere all’avanguardia è stato a lungo il nostro modo di essere, è tempo di tornare a farlo.

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Serve un ripensamento dello smart-working e dell’orario di lavoro All’inizio si diceva che le città sarebbero divenute invivibili (con conseguenti esodi di massa…) nel 2100.

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