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16 DICEMBRE 2022 – Roma, locali del Sindirettivo in Via Milano

La manifestazione è stata introdotta da una prolusione del Segretario Organizzativo Leonardo Lacaita, che ha richiamato le ragioni e l’importanza attribuita alla giornata di protesta dalla Cida nazionale; è proseguita con un collegamento in streaming nel corso del quale si è avuto modo di ascoltare, fra gli altri, l’intervento del Prof. Alberto Brambilla del Centro Studi e Ricerche  Itinerari Previdenziali; e si è infine incentrata sulla Relazione svolta sul tema dal collega Mario Pinna del Coordinamento Pensionati, a margine e al termine della quale i presenti all’incontro hanno avuto modo di esprimere opinioni e di fornire suggerimenti sulla linea sindacale da seguire.

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Relazione a cura del Coordinamento Pensionati

          Un saluto, innanzitutto, e un ringraziamento per la Vostra presenza, qui, a un incontro promosso, nostro tramite, dalla Cida nazionale presso tutte le organizzazioni sindacali che vi aderiscono e che ne sono parte.

Personalmente, non ritengo che questi incontri, nei quali si inserisce la nostra manifestazione, possano avere un qualche esito foriero di risultati per noi positivi già nell’immediato, nel senso che possano indurre il Parlamento (e non dico ‘il Governo’) a esprimersi in favore di interventi che possano modificare quanto annunciato con riferimento alla rivalutazione delle pensioni medio-alte per il 2023-24. Ma le manifestazioni hanno rilevanza anche in quanto ‘manifestazioni’, a prescindere dall’esito: valgono, cioè,  anche per far sentire le voci di dissenso e, nel medio periodo, sono convinto valgano a farle prendere i considerazione.

 Quali le ragioni, il perché, del nostro incontro di oggi: l’esigenza di far chiarezza, contestandole, su talune misure inserite nella prossima Legge di Bilancio, e specificamente su quelle volte a colpire i pensionati di fascia media e medio-alta che negli anni sono già state penalizzati da ripetuti prelievi forzosi e da mancate indicizzazioni dei loro trattamenti.

A chiarimento e delimitazione del tema, ritengo opportuno fare innanzitutto un richiamo alle ventilate fasce di rivalutazione dei trattamenti di pensione, quali previste nel Disegno di Legge della Finanziaria 2023 tuttora all’esame del Parlamento. Fasce che richiamo non perché a qualcuno poco note (ne hanno parlato e riparlato tutti i mezzi di informazione – giornali, telegiornali, talk-show televisivi), ma perché costituiscono l’ultimo anello di una catena di altri interventi ‘riduttivi della perequazione’ che si sono succeduti in questi ultimi vent’anni, qualunque la parte politica al governo del Paese.

Gli interventi di oggi

Le percentuali di rivalutazione qui riportate sono quelle figuranti nel Disegno di Finanziaria che verrà effettivamente sottoposto all’esame delle Camere. Tali percentuali sono diverse da quelle esaminate nell’incontro del 16 dicembre, in quanto modificate (al ribasso) dopo quella data.

La Legge di Bilancio per il 2023 ora  all’esame del Parlamento, all’art 56, prevede una revisione del meccanismo di indicizzazione dei trattamenti di pensione per il biennio 2023-2024, che si traduce per un verso in una estensione straordinaria della percentuale d’incremento per le pensioni minime (l’8,76% : pari al 120% del tasso d’inflazione del 7,3% accertato per l’anno dall’Istat), e per altro verso in una  riduzione delle percentuali d’incremento che diventa gradualmente più incisiva per i trattamenti più elevati, sino a giungere al 2,336% (pari al 32% del riferito tasso d’inflazione del 7,3%) per i trattamenti superiori a 10 volte l’attuale minimo Inps di 524,35 euro.

La rivalutazione degli assegni

                         Importo della pensione                                        Coefficiente    Aumento            (in percentuale)  

Pensioni minime:                                            524 euro      120% + 8,76%
Sino a  4 volte il minimo:                             2.096 euro      100% + 7,30%
Sino a  5 volte il minimo:           da 2.096 a 2.620 euro       85%         + 6,20%
Sino a  6 volte il minimo:           da 2.620 a 3.144 euro       53% + 3,87%
Sino a  8 volte il minimo:           da 3.144 a 4.192 euro       47% + 3,43%
Sino a 10 volte il minimo:          da 4.192 a 5.240 euro      37% + 2,70%
Sopra 10 volte il minimo:           da 5.240 euro32% + 2,34%

 La rivalutazione del 7,3% (e cioè il 100% dell’inflazione registrata dall’Istat) sarà perciò riconosciuta per l’intero importo della pensione percepita solo alle pensioni fino a 2096 euro mensili, e scenderà al 32% (del 7,3%) per le pensioni d’importo pari o superiore a 5.240 euro circa. Gli importi si intendono sempre lordi e i coefficienti d’incremento da applicare all’intero importo del trattamento percepito (e quindi non al solo scaglione d’importo marginale).

Richiamo ancora, succintamente, quantunque di scarso significato ai nostri fini, le fasce di incremento previste nella bozza dell’attuale Finanziaria: 100% per i trattamenti sino a 2.100 euro circa mensili, 85% per i trattamenti sino a 2.620 euro, e così via  – 53%, 47%, 37% – sino a giungere al 32% dei trattamenti oltre 5.240 euro lordi mensili (dieci volte il minimo Inps).

          Gli interventi di ieri

Sin qui gli interventi previsti dall’odierna Finanziaria: di per sé stessi già gravi e punitivi, ma ancor più gravi perché interventi non isolati, estemporanei, eccezionali o, comunque, non interventi maturati per far fronte a imprevedibili esigenze di bilancio manifestatesi quest’anno.  Essi infatti seguono a una serie di interventi ventennali similari, che qui richiamo brevemente:

la legge 388/2000 (Governo Amato) (ancora importante, perché il suo meccanismo di adeguamento resta il meccanismo di riferimento, quello che di volta in volta, e anche stavolta, è oggetto di deroga e che dovrebbe riacquistare piena validità nel 2025, quando verrà a scadere la durata delle fasce di rivalutazione introdotte dalla Finanziaria 2023).  La legge 388/2000 distribuiva (o meglio, ripartiva e ripartisce) la perequazione in 3 fasce:

     .  100%, per le pensioni sino a 3 volte il trattamento minimo Inps

     .    90%, per le pensioni d’importo fra 3 e 5 volte il trattamento

     .    75%, per le pensioni d’importo superiore a 5 volte il minimo.

Alla stessa hanno fatto seguito

 – la legge 247/2007 (Governo Prodi), che introdusse il blocco totale, per il solo 2008,   delle pensioni d’importo superiore a 8 volte il minimo, così che

      .  per il triennio 2009-2011 l’adeguamento perequativo avvenne secondo i  

         criteri della legge 388/2000 (100%, 90% e 75%).

 – il decreto legge 201/2011 (del Governo Monti), che

. per gli anni 2012 e 2013 dispose il blocco totale della perequazione per     

        le pensioni superiori a 3 volte il minimo.

 – la legge 147/2013 (del Governo Letta), che ha introdotto

       . per gli anni 2014 – 2016, poi prorogati a tutto il 2018 dal Governo Renzi, un sistema basato su 5 fasce di adeguamento:  

         .  100%,  per le pensioni d’importo sino a 3 volte il trattamento minimo Inps

          .    95%,  per le pensioni d’importo fra 3 e 4 volte  il trattamento minimo Inps                                                                                             

          .    75%,  per le pensioni d’importo fra 4 e 5 volte il trattamento minimo Inps

          .    50%,  per le pensioni d’importo fra 5 e 6 volte il trattamento minimo Inps

          .    45%,  per le pensioni d’importo oltre  6 volte il trattamento minimo Inps

la legge 145/2018 (del Governo Conte 1), che ha introdotto

. per gli anni 2019 – 2021 un nuovo meccanismo di adeguamento, basato su 7 fasce di rivalutazione (100% sino a tre volte il minimo, 97%, 77%, 52%, 47%, 45% e 40% sopra nove volte il minimo), e

. per gli anni 2019 – 2023 (e cioè per cinque anni, poi ridotti a tre a seguito di un pronunciamento della Consulta) un Contributo di solidarietà sui trattamenti di pensione oltre i 100 mila euro annui. L’aliquota del contributo partiva con il 15% sulla parte eccedente i 100 mila e sino a 130 mila euro, e giungeva al 40% sulla parte eccedente i 500 mila euro di trattamento di pensione annuo.

   – due Sentenze della Corte Costituzionale (la n. 70/2015  e la n. 250/217) che, con marginali disposizioni di accomodamento, hanno di fatto avallato i provvedimenti precedenti, sancendone la durata sino a 2019 (poi prorogata con i  provvedimenti del Governo ‘Conte 1’ sino a tutto il 2021).

Nel 2022, ‘rara avis’, è stata riapplicata la rivalutazione su tre fasce (100%, 90% e 75%) prevista dalla legge base o di riferimento n. 388 del 2000.

          Governi Prodi, Monti, Letta, Renzi, (Gentiloni), Conte 1, Meloni: diversi per orientamento politico e programmi, ma accomunati nella decisione di attingere alle risorse da destinare elettivamente ai pensionati per finanziare, in tutto o in parte, programmi di spesa senz’altro meritevoli ma che in quanto di valenza e di interesse generale non avrebbero dovuto né possono gravare su una sola categoria di contribuenti.

 E con in più una differenza tra l’intervento previsto oggi in Finanziaria e gli interventi del passato. Nei due decenni seguiti alla Legge (Amato) n. 388 del 2000, il Paese e l’intera Zona Euro hanno registrato un’inflazione nulla o contenuta, che di fatto ha temperato la perdita di potere d’acquisto di tutti i trattamenti di pensione, compresi i trattamenti medio-alti. L’inflazione del 2022 si è attestata invece, ci dicono, al 7,3% in media d’anno e all’11-12% da inizio a fine anno. Così che tassi di rivalutazione come quelli prospettati nell’attuale Legge di Bilancio, ove ripetuti per anni (anche solo pochi) che presentino un contesto inflativo similare, sortirebbero effetti devastanti per i trattamenti pensionistici di fascia appena superiore a certa soglia (oggi, 5 volte il minimo Inps e cioè circa 35 mila euro lordi all’anno). Infatti…

 Il danno causato dalle nuove fasce di rivalutazione

 La rivalutazione dei nostri trattamenti (ove superiori a 10 volte il minimo Inps, e cioè a 5.240 euro lordi mensili) sarà pari al 32%, e non al 75%, del tasso di inflazione del 7,3% determinato dall’Istat per il 2022.  Con la conseguenza che quelle retribuzioni avranno un adeguamento del 2,336%, anziché del 5,475%; che è quanto dire, che per ogni 10 mila euro di pensione lorda (sempre che si superi la soglia dei 5.240 euro mensili di trattamento lordo) la rivalutazione sarà di 234 anziché di 547 euro annui.  Di modo che per un trattamento di 100 mila euro lordi la rivalutazione sarà di 2.336 anziché di 5.475 euro; con una differenza in meno di 3.139 euro, che permarrà per tutti gli anni di futura fruizione.  Per un trattamento di 150 mila euro lordi la differenza annua in meno, anch’essa permanente, sarà di 4.708 euro.

Il risparmio (chiamiamolo così) per le casse dell’Inps e quindi dello Stato

   Per i fruitori di trattamenti lordi annui di pensione di 100 mila euro vi sarà quindi una minore rivalutazione annua (che possiamo definire ‘perdita’) di 3.139 euro, che sale a 4.708 per i percettori di trattamenti di 150 mila euro; e analoghe perdite, in proporzione, per tutti i trattamenti superiori a 10 volte il minimo Inps.  Sin qui le perdite ’individuali’, che corrispondono però a minori esborsi dell’Inps e quindi ad analogo vantaggio per il bilancio dell’Inps e per il bilancio dello Stato. 

Perdite significative a livello di pensionati singoli, che diventano, dall’altra parte (Inps e Stato), vantaggi parimenti significativi, e ancor più significativi ove vengano considerati a livello globale o complessivo.

      Elaborazioni dell’Inps e del Ministero delle Finanze confidano che tale risparmio (che, ripetiamo, corrisponde ad analoga perdita dei fruitori dei trattamenti di pensione) si ragguagli per il 2023 a 2,2-2,3 miliardi di euro.  Utili certamente per quadrare i conti della Finanziaria, ma fermo restando che è quanto mai discutibile debbano o dovessero essere prelevati da una sola categoria di contribuenti: i pensionati di fascia medio-alta.

Le misure di Welfare, qualunque la loro articolazione, vanno finanziate dai cittadini, e non da una sola categoria di cittadini: i pensionati-contribuenti. Ciò che appare ancora più indovuto ove si consideri che i provvedimenti di finanziamento delle sue misure calano in un mondo in cui esiste una vastissima gamma di ‘percettori di reddito’ sconosciuti al fisco (i c.d. evasori) denunciata da tutti gli osservatori, e che l’analisi del Prof. Brambilla di Itinerari Previdenziali, sulla quale pure di qui a poco ci soffermeremo, ha posto in incontestabile evidenza.

 “Che fare?”

Allo stato, che cosa possiamo fare, e che cosa abbiamo fatto?  E non tanto noi, come Sindirettivo, ma noi come CIDA nazionale.  ‘Che cosa fare?’ Perché non facciamo qualcosa, ci chiedono infatti moltissimi iscritti in quiescenza.

(Rammento, e mi perdonerà il ‘Compagno Lenin’, che “Che fare?”, sottotitolo Problemi scottanti del nostro movimento, è una delle sue più importanti opere politiche). Noi non aspiriamo a tanto né aspiriamo a che la nostra azione possa sortire effetti altrettanto dirompenti.

La nostra Confederazione di riferimento

La Cida si è attivata con diretti interventi del Presidente Cuzzilla, resi noti attraverso Comunicati (Stampa) ripresi dai maggiori mezzi d’informazione, non appena sono trapelate le linee d’intervento del Governo nella presente Finanziaria con riferimento alla materia pensionistica e, per ciò che più direttamente ci concerne, con riferimento alle fasce di rivalutazione dei trattamenti di pensione. Cito, da un Comunicato Cida del 21 novembre

Rivedere nuovamente il meccanismo di calcolo della perequazione già di per sé solidaristico e appena ripristinato nel 2022, penalizzando solo le fasce più alte, starebbe a significare che i manager pensionati saranno ancora una volta un “bancomat” e vedranno ridursi ancora di più il loro potere d’acquisto.

Anche la Corte Costituzionale con diverse sentenze si è espressa in questo senso affermando che la frequente reiterazione di interventi legislativi tendenti a inficiare il meccanismo perequativo intacca i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su parametri costituzionali quali la proporzionalità del trattamento di quiescenza inteso quale retribuzione differita. E cito ancora, da un Comunicato di questo 6 dicembre

La rappresentanza sindacale per la dirigenza e le alte professionalità di tutti i settori socio produttivi, pubblici e privati, ha inviato oggi gli emendamenti di modifica alla Finanziaria 2023 alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Gli emendamenti proposti riguardano… è indicata una serie di punti, tra i quali, di preminente interesse per noi pensionati, …   la revisione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni…  

L’invio degli emendamenti segue il colloquio che si è tenuto ieri tra il Presidente Stefano Cuzzilla e il Presidente della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati, On. Giuseppe Tommaso Vincenzo Mangialavori. Nel corso del colloquio il presidente CIDA ha ricevuto rassicurazione in merito a…   ometto di citare.

     Anche il nostro incontro di oggi, che come abbiamo avuto modo di costatare si svolge in contemporanea con analoghi incontri che si tengono presso tutte le Federazioni sindacali aderenti alla Cida, è di per sé stesso e costituirà oggetto di segnalazione, alla stampa e al Governo, dello stato di disagio e dell’insoddisfazione della dirigenza del Paese a fronte delle ventilate misure riduttive in materia di rivalutazione dei trattamenti di pensione.  A prescindere e a dispetto  – come già ho premesso all’inizio dell’incontro –  della concreta possibilità di sortire immediati effetti positivi per i nostri trattamenti, nella convinzione  – ripeto ancora –  che il valore delle ‘testimonianze’ non si misura con la sola immediatezza dei risultati che conseguono.

Riferimenti in ordine a un argomento per taluni aspetti collaterale a quello della rivalutazione dei trattamenti di pensione medi e medio-alti

Nona indagine conoscitiva sulle entrate fiscali e sul finanziamento del nostro sistema di welfare

Quantunque non specificamente afferente alla materia delle ‘Pensioni’, ma a quello del (nostro) Welfare nel medio periodo, la Cida (nazionale) aveva con convinzione patrocinato e divulgato i risultati del Convegno di Presentazione della Nona indagine conoscitiva sulle entrate fiscali e sul ‘Difficile finanziamento’ e sostenibilità del nostro sistema di welfare, tenutosi il 1° dicembre presso il CNEL di Villa Lubin, a Roma. Curatore dell’indagine il ‘Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali’ facente capo al Prof. Alberto Brambilla e al Prof. Paolo Novati. L’indagine si sofferma fra l’altro e specificamente sulle Dichiarazioni dei redditi 2020 ai fini IRPEF.

 Anche noi riteniamo utile riferire in questa sede dei risultati dell’indagine, non per meri scopi divulgativi, ma in quanto rilevante ai fini del finanziamento di un Welfare (quello attuato nel Paese) che nella classe politica ha trovato e trova tanta considerazione da sacrificare sull’altare del suo finanziamento le aspettative e i diritti di altre categorie di cittadini-contribuenti, quali sono i fruitori di trattamenti di pensione conseguenti a un’attività di lavoro. Con in prima fila, come agnello sacrificale, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici soprattutto se di fascia media o medio-alta.   

Qui a seguire, per chi vi abbia interesse, alcuni prospetti (comunemente definiti ‘slide’) tratti dall’opuscolo esplicativo dei risultati della riferita Nona Indagine Conoscitiva dei dati Irpef per il 2020 condotta da Itinerari Previdenziali. Prospetti dei quali, chi lo voglia, potrà acquisire completa conoscenza attraverso la lettura delle diapositive apribili attraverso il secondo bottone (leggi le slide)  del messaggio di accompagnamento a questa comunicazione. 

Prospetti 1 (di presentazione dell’opuscolo) e 2  

. Il 57% degli italiani, vale a dire circa 14.780.000 famiglie su di un totale censito da Istat di 26,5 milioni, vive in media con meno di 10 mila euro lordi l’anno.

Prospetto 3

. Siamo un Paese di poveri! Se solo 30,3 milioni di cittadini su 59,6 milioni di abitanti presentano per il 2020 una dichiarazione dei redditi positiva, significa che il 49% degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno.

Prospetti 4 e 5  

L’Irpef versata nel 2020 (164,36 miliardi di euro) risente di sconti d’imposta per 11,90 miliardi di euro, dovuti al Bonus-Renzi e al TIR-Trattamento integrativo del Reddito da lavoro dipendente.  Aumentano gli italiani a carico di pochi.

Prospetti 6 e 7  

Chi paga l’Irpef 2020.

I cittadini degli scaglioni di reddito sino a 7.500 e da 7.500 a 15 mila euro lordi l’anno pagano in totale 3,15 miliardi di Irpef e ne ricevono per la sola sanità 51,82. .

Prospetto 8

I contribuenti dei tre scaglioni di reddito più elevato (i grandi contribuenti, tra 100 e 200 mila euro, tra 200 e 300 mila euro, oltre i 300 mila euro) sono in numero di 498.173, pari all’1,21% di tuti i contribuenti. Essi pagano il 19,91 % dell’Irpef totale.

Prospetto 9

Chi paga l’Irpef in dettaglio.

Sommando ai grandi contribuenti la fascia dei contribuenti tra 55 e 100 mila euro, e la fascia tra 35 e 55 mila euro, risulta che il 12,99% dei contribuenti paga il 59,95% di tutta l’Irpef.

Prospetto 10

La percentuale di imposte pagate dalle diverse tipologie di contribuenti va

. dallo 0,12% della complessiva Irpef pagato dal 24,97% dei contribuenti, aventi un reddito annuo sino a 7.500 euro

. al 5,84% della complessiva Irpef pagato dallo 0,09% dei contribuenti, aventi un reddito annuo superiore a 300 mila euro.

Prospetto 11

Raggruppamenti dei contribuenti per fasce di reddito.

Il 44,53% dei contribuenti, quelli con reddito sino a 15 mila euro, versa solo l’1,92% dell’Irpef totale.

Prospetto 12

La progressività: siamo il Paese della tassazione quadrupla, cui si aggiunge una ‘5°’ fattispecie di progressività.

. la prima progressività: chi più guadagna, più paga;

. la seconda: chi guadagna oltre certe soglie, paga di più e più che proporzionalmente;

.la terza: è una progressività occulta, quella che con l’aumentare del reddito fa diminuire le deduzioni, sino a farle sparire;

. la quarta: è composta dai sussidi fiscali per gli incapienti, gli sconti sui servizi pubblici, l’assegno unico universale per i figli, le riduzioni sulle rette (per asili nido, mense scolastiche, libri di testo, rette universitarie e così via)

. la quinta: è data dall’ormai quindicennale prelievo forzoso sulle pensioni come mancata indicizzazione e in tre occasioni con il mistificante contributo di solidarietà.

In merito al Convegno di Villa Lubin, lo stesso giorno in cui si è tenuto (il 1° dicembre) la Cida ha diffuso un Comunicato Stampa del quale riportiamo a seguire i primi passi, in quanto esplicativi dell’anomala distribuzione del carico Irpef  fra le diverse categorie di contribuenti nel Paese.

IRPEF, quei 5 milioni di italiani con il Paese sulle spalle Cida e Itinerari Previdenziali presentano  l’Osservatorio dedicato a entrate fiscali e finanziamento del sistema di protezione sociale:  mentre si discute di riforma fiscale e flat tax, il 79,2% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 27,57% di tutta l’IRPEF, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare. Un conto da 278 miliardi che, a pagare, sono allora i (pochi) soliti noti…

Roma, 1 dicembre 2022

 Il totale dei redditi prodotti nel 2020 e dichiarati nel 2021 ai fini IRPEF è ammontato a 865,074 miliardi, per un gettito IRPEF generato di 164,36 miliardi (147,38 per l’IRPEF ordinaria; 11,99 per l’addizionale regionale e 4,99 per l’addizionale comunale), in calo del 4,75% rispetto all’anno precedente.

 Diminuiscono anche i dichiaranti (41.180.529) e i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di IRPEF, che scendono a quota 30.327.388, valore più basso registrato dal 2008.

Cala, infine, la percentuale di contribuenti che sopporta la gran parte del carico fiscale: mentre quasi la metà degli italiani (il 49,15%) addirittura non dichiara redditi, tra i versanti è l’esiguo 12,99% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su a corrispondere da solo il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. 

o o o

Qui giunto, e per non trasformare questo mio intervento in una lezione dettagliata e fuori luogo, Vi invito a una riflessione su quanto ho or ora richiamato e, nel ringraziarvi per la partecipazione, formulo a Voi tutti i migliori auguri del Coordinamento Pensionati per il prossimo Natale e, soprattutto, per un 2023 che sin qui, quantomeno per la categoria di nostra appartenenza, non si prospetta con le migliori credenziali.

Mario Pinna Coordinamento Pensionati del Sindirettivo

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Roma, 23 dicembre 2022

Coordinamento Pensionati Mario Pinna — Antonio Signorello

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