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MILANO, 6 ottobre 2023 – L’esito e il significato dell’incontro promosso dalla Cida a difesa delle pensioni e dell’equità dei trattamenti

Ritorniamo, per riferirne, sull’incontro tenutosi a Milano lo scorso 6 ottobre sul tema della ‘difesa delle pensioni per riportare l’equità nei nostri trattamenti’, di cui alla Comunicazione n.11 del 26 settembre.

L’evento ha registrato la partecipazione di più di 500 persone in presenza, oltre a qualche migliaio in collegamento streaming. In relazione alla sua importanza per i pensionati di livello medio e medio-alto vi hanno aderito l’Associazione Forum dei Pensionati, l’Associazione Nazionale Magistrati in pensione e l’Associazione dei Funzionari prefettizi ‘Sinpref’.

Nel riquadro sottostante i relatori alla manifestazione.

Stefano CUZZILLA, Presidente Cida   –   Alberto BRAMBILLA, Presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali  –  Luca PERFETTI, Partner Studio Legale Bonelli Erede with Lombardi   –  Domenico CRISCUOLO, del Comitato Esecutivo Forum ei Pensionati  –  Giuseppe PASTORE, Dirigente sindacale SI.N.PRE.F.  –  Enrico PANETTA, Coordinatore nazionale Seniores Forza Italia  –  Tommaso FOTI, Presidente del Gruppo Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati

Ma quali gli obiettivi dell’incontro e l’analisi effettuata, e quali le proposte e le iniziative a difesa dei trattamenti di pensione più incisi negli ultimi vent’anni

A – Gli obiettivi 

L’incontro di Milano, nei limiti di quel che può un’Organizzazione di categoria, si proponeva di sensibilizzare l’opinione pubblica e l’attuale Esecutivo sulle distorsioni (non ‘equità’, è detto nella sub -titolazione del Convegno) che sono state indotte nel nostro sistema pensionistico dalle politiche di ridotta o mancata perequazione praticate ormai da oltre vent’anni.

Utile, a tal fine, la partecipazione all’evento di due esponenti delle forze politiche oggi al Governo, gli Onorevoli Panetta e Foti che sia pure fra le contestazioni di un pubblico partecipe e vivace hanno cercato di difendere le misure di pseudo contenimento della spesa pubblica adottate soprattutto dalla Legge Finanziaria per il 2023. Quand’invece, in materia, obiettivo primario della Cida è sempre stata la tutela del potere d’acquisto dei trattamenti di pensione, affatto compatibile con politiche di mantenimento degli equilibri di bilancio.

B – L’analisi effettuata dai relatori Cuzzilla e Brambilla

 I lavori, quale ‘padrone di casa’, sono stati aperti dal saluto e introduzione del Presidente Cida Stefano Cuzzilla  che ha tenuto a rimarcare come la manifestazione di Milano mirasse alla difesa non di un management d’élite ma del ceto medio del Paese.

‘Ceto’ nel quale la maggior parte di noi si riconosce e che col suo lavoro (e le sue imposte) al Paese ha fornito l’ossatura che gli ha consentito di adottare misure di welfare ieri impensabili per articolazione e per estensione dei soggetti interessati. Ma pure ‘ceto’, Cuzzilla ha tenuto a precisare, “che ogni anno vediamo impoverirsi sotto i colpi dell’accanimento fiscale, dell’inflazione e della progressiva esclusione dal sistema di welfare pubblico”.

Nel riquadro alla pagina 5  alcuni passi tratti dalla Relazione di Cuzzilla (qui consultabile nella sua interezza).

È seguita la relazione del Prof. Alberto Brambilla, di Itinerari Previdenziali, che col corredo di una ricca sequenza di diapositive (qui consultabili) ha illustrato la deriva in cui annaspa da decenni il nostro sistema impositivo e le misure, più specifiche per noi, di pervicace contenimento della rivalutazione dei nostri trattamenti.

Alla pagina 6  alcuni passi tratti dalla Relazione di Brambilla.

C –  Le misure a difesa e correzione

Più che dall’esecutivo del momento, che come quelli che lo hanno preceduto non sembra essere propenso a interventi correttivi, la tutela dei nostri trattamenti dipende oggi dal successo dell’azione di contrasto intrapresa da alcune associazioni di dirigenti del Paese, tra le quali, capofila, una Cida che si è fatta promotrice di due diverse iniziative:

  • l’avvio di 7 ricorsi campione, di  cui  alle  nostre  Comunicazioni n. 9 e 12, volti a ottenere, in fine, una declaratoria di illegittimità costituzionale della Legge n. 197 del 29 dicembre 2022 nella parte (art. 1, c. 309) in cui determina i meccanismi di perequazione dei trattamenti di pensione per gli anni 2023 e 2024.   L’Avv. Luca Perfetti, dello Studio che sta curando quei ricorsi, ha richiamato le ragioni su cui fondano (riportate in sintesi a margine della Comunicazione 9) e che inducono a poterne ipotizzare un esito diverso da quello dei precedenti (ma non identici) ricorsi in materia di perequazione, sui quali la Consulta si espresse con motivazioni di sentenze per noi non del tutto negative (infatti, secondo i giudici della legittimità costituzionale lo Stato può decidere di raffreddare o tagliare la perequazione, ma deve farlo non ripetutamente e illustrandone le motivazioni e le esigenze di finanza pubblica per le quali adotta la misura. La ‘raccomandazione’ è stata però disapplicata dai Governi, assillati dalla penuria di risorse ai fini della quadratura dei bilanci);
  • il lancio di una ‘Petizione Cida’  che si  propone  di  portare  all’attenzione delle istituzioni l’iniquità dell’attuale sistema previdenziale e avanzare proposte per una crescita economica sostenibile, garante del benessere collettivo di oggi e di domani.

          Testo, termini e modalità di adesione alla petizione sono in fase di studio da parte dei legali della Cida, che ne curerà la diffusione non appena definiti.

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Nell’ambito delle misure (o meglio, nell’ambito delle buone intenzioni o promesse di adozione di misure) a raddrizzamento del sistema vanno annoverate anche le dichiarazioni dell’On. Tommaso Foti, relatore alla manifestazione.

“Il tema pensioni è molto dibattuto, questo è indubbio; vi sono state anche alcune riforme a riguardo. Noi dobbiamo tener presente che oggi il sistema pensionistico è assommato, nella sua gestione della spesa, all’assistenza. Ne consegue che previdenza e assistenza sono un’unica voce, che invece andrebbe distinta per riuscire a comprendere bene quale sia il peso delle due componenti”.

D –  Che cosa resta dell’evento  

Resta poco o tanto, a seconda delle attese o delle illusioni di coloro che lo hanno voluto e organizzato e di coloro che lo hanno seguito in presenza o in streaming, e ancora di coloro che ne hanno avuto un’informazione distratta o approfondita dai media o da persone che ne avevano già avuto conoscenza.

Ma di certo resta  la chiarezza della posizione dell’On. Foti, oggi vicinissimo al Governo,  sull’urgenza della distinzione tra erogazioni pensionistiche ed erogazioni assistenziali. Che è poi posizione, o aspirazione o denuncia, che è nostra già da anni, ma che da anni, ogniqualvolta riesumata, svanisce in un nulla di promesse che si sperdono in un empireo di intenzioni che restano intenzioni.

Senza con ciò togliere alcunché all’importanza del riconoscimento (se non altro per il ruolo oggi svolto dal suo autore) di questa stortura del nostro ordinamento, che impedisce di far chiarezza sui confini (e sulla sostenibilità) dei sistemi ‘pensionistico’ e ‘assistenziale’ del Paese. Impedendo l’avvio di analisi e proposte finalizzate a conseguire obiettivi forse da coordinare, ma tra loro diversi e separati.

E resta l’eco di un evento importante per sé stesso, col suo richiamo al trattamento di ex-lavoratori che tutto hanno dato per la costruzione del Paese, e col richiamo (già nella sua titolazione) all’equità dei trattamenti. Quantunque ‘eco’ oggi un po’ più flebile, per via della cadenza temporale in cui l’evento si è tenuto: in concomitanza con la composizione della legge annuale di bilancio, connotata, come quelle che la hanno preceduta, dalla ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di postazioni tra loro incompatibili e dalla ricerca di fonti di finanziamento. Ma pure ‘ricerca’ che, ove condotta con orizzonte temporale limitato (uno, due o pochi anni) e in assenza di provvedimenti strutturali con spettro d’azione pluriennale, vedrà sempre soccombenti i percettori dei redditi medi o medio-alti che, come i nostri trattamenti di pensione, siano intermediati dallo Stato; sacrificati sull’altare di esigenze aggiuntive e sempre nuove, in una concatenazione senza sbocchi.

Finendo però – come da più parti è stato rimarcato nel convegno –   con il perdere di vista i meriti e le specificità (e cioè le storie individuali) di quanti già hanno concluso la propria esperienza di lavoro, e con l’appiattire verso il basso le aspettative (e l’impegno?) dei meritevoli che quell’esperienza hanno ancora in corso o che con un’esperienza di lavoro debbono ancora cimentarsi.

 Roma, 19 ottobre 2023

Coordinamento Pensionati Mario Pinna — Antonio Signorello

 

Dall’intervento del Presidente Cida Stefano CUZZILLA  Chi pagherà le pensioni future se i lavori diventano lavoretti, se oltre il 65% dell’Irpef viene sottratta all’erario da evasioni contributive e fiscali, se chi guadagna da 35.000 euro lordi l’anno in su viene considerato ricco? Dal 1998 nessun Governo ha interrotto la spirale negativa che si è abbattuta sui soliti noti. In questi 25 anni i nostri pensionati hanno subito 5 contributi di solidarietà e 10 blocchi perequativi.  In 30 anni le pensioni dei dirigenti e di tutti coloro che hanno un reddito pensionistico superiore a 4 o 5 volte il minimo INPS hanno perso per sempre più di un quarto del potere d’acquisto. Le risorse “risparmiate” dalla lunga serie di provvedimenti riguardanti la perequazione automatica sono andate, nella maggior parte dei casi, a sostenere la spesa per le prestazioni assistenziali. Peggio è accaduto con il mancato adeguamento delle nostre pensioni avvenuto nel 2023, che non vogliamo vedere ripetersi nel 2024: proiettato su dieci anni, il taglio che è stato eseguito sugli assegni dei pensionati porta nelle casse pubbliche circa 40 miliardi di euro. E mi sto riferendo a chi prende da 2.250 € netti al mese. Il risultato di questo sacrificio che abbiamo sostenuto è servito a migliorare le condizioni del Paese e dei più poveri? Direi di no, ha solo determinato un aumento esponenziale della spesa assistenziale che ormai ha superato i 140 miliardi l’anno. Aiutare chi è più fragile è un dovere e la classe dirigente italiana non si è mai tirata indietro, ma è altrettanto doveroso premiare il merito, la fedeltà fiscale e soprattutto tener fede ai patti sottoscritti con i cittadini. È questo che fa uno Stato leale. Come si può pensare che il 13% di italiani dichiari redditi superiori a 35 mila euro lordi e si faccia carico del 60% di tutta l’IRPEF? Come giustificare il fatto che su 16 milioni di pensionati in Italia, quasi il 44% sono totalmente o parzialmente assistiti e che quindi non hanno versato neppure 15 anni di contributi? Come conciliare il fatto che il 57% delle famiglie vive in media con meno di 10mila euro all’anno quando gli italiani sono primi in Europa per possesso di automobili e secondi nel mondo per il gioco d’azzardo? Oggi diciamo basta a questi interventi iniqui. Chiediamo a questo Governo di adottare provvedimenti strategici che non sottraggano altre risorse a chi ha pagato onestamente tasse e contributi in un’economia alterata e inquinata dall’evasione. Chiediamo che, nel rimettere ordine al sistema di detrazioni fiscali, non si perpetui l’errore di discriminare e penalizzare ulteriormente chi il welfare lo sostiene già in tutti i modi possibili. Per difendere il sistema pensionistico, anche a garanzia delle future generazioni, Cida ha più volte sottolineato la necessità della separazione contabile tra previdenza e assistenza, e l’urgenza di sottoscrivere un nuovo patto sociale tra generazioni che ponga il lavoro al centro degli obiettivi un’economia sostenibile, garante di un’offerta occupazionale più qualificata e meno precaria per i giovani. I sistemi di protezione sociale sono parte integrante di un modello che si fonda sulla convinzione che progresso economico e sociale debbano procedere di pari passo, rafforzandosi a vicenda. Un modello che non deve fornire soltanto una rete di sicurezza per i poveri ma deve garantire la coesione civile.
Dall’intervento del Prof. Alberto Brambilla    Negli ultimi vent’anni si sono susseguiti svariati provvedimenti, spesso perfino in contraddizione tra loro ma, in linea di massima, accomunati dal principio secondo quale le pensioni di importo superiore tendono a subire un meccanismo sfavorevole. Con il risultato di penalizzare quella fascia di pensionati che nel corso della propria vita attiva, ha dichiarato redditi pari o superiori a 35mila euro e versato contributi e imposte pari appunto a oltre il 60% dell’Irpef totale, oltre ai contributi sociali e alle imposte dirette. Tasse che, viceversa, i 6 milioni di beneficiari di pensioni fino a 2 volte il minimo sostanzialmente non pagano e che i percettori di prestazioni tra 2 e 4 volte il TM pagano in misura ridotta. Eppure, nonostante queste evidenze, la politica continua a pensare di ‘risparmiare’ attraverso la mancata indicizzazione delle pensioni di importo medio-alto, trovando invece sempre risorse per l’ampliamento delle prestazioni assistenziali.  

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