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La spasmodica voglia della Banca di imporre a tutti i costi passaggi di livello al terzo anno per expert e consiglieri.

Redarguire i capi dei Servizi e delle Filiali, senza ascoltarli, è coerente con il “ruolo centrale” nelle scelte gestionali che è stato loro attribuito?

A volte confrontarsi può essere una soluzione migliore rispetto ad un richiamo all’ordine.

Può esserlo senz’altro quando si tratta di gestire le risorse umane, soprattutto quelle mediamente più giovani (expert e consiglieri), il capitale più prezioso per la Banca di domani.

Può esserlo senz’altro in un contesto quale quello della Banca d’Italia, che da tempo sollecita il dialogo tra gestori e collaboratori considerandolo un fattore essenziale per ricoprire con competenza i ruoli manageriali.

Lo è, ancor di più, quando il richiamo all’ordine è indirizzato a capi dei Servizi e ai capi delle Filiali, titolari di un rinnovato “ruolo centrale” nelle scelte gestionali.

Eppure, questi ultimi sono stati, nella sostanza, recentemente ammoniti e richiamati sulle “percentuali effettive di attribuzione dei passaggi” di livello relativi a expert e consiglieri e sulla sottostante scelta, adottata in piena conformità al Regolamento, di “utilizzare una parte del budget per il primo anno per attribuire ulteriori passaggi al secondo”. Questa scelta ha comportato negli scorsi anni “che la quota di passaggi attributi al secondo si avvicinasse alla totalità” comprimendo dunque gli “spazi di riconoscimento per i più meritevoli rispetto a quanto dichiarato nell’accordo”.

Una modalità comunicativa piuttosto inusuale e che ha stimolato alcuni dubbi sul fatto che l’Amministrazione consideri coloro che gestiscono le risorse umane, “sul campo” e ogni giorno, come veri e propri partner di una strategia condivisa e come persone in grado di utilizzare, con equilibrio e competenza, i poteri/doveri gestionali che la riforma delle carriere gli ha attribuito con pienezza. 

E ancora, ci siamo chiesti se l’Amministrazione intenda davvero comprendere perché la maggior parte dei gestori abbia finora adottato scelte legittime che sono in piena aderenza a quanto il Regolamento del Personale consente (cfr. terzo co. art. 61 e secondo co. relativa nota).

Ci rifiutiamo di pensare che l’Amministrazione voglia ridurre la discrezionalità tanto incensata che giustamente è stata attribuita ai gestori, disconoscendo cioè il “ruolo centrale nelle scelte” attribuito ai Capi delle Strutture dalla stessa C. 299 o negando che “con la riforma delle carriere per l’Area Manageriale e Alte professionalità è stato rafforzato il ruolo dei Capi, ai quali sono state demandate le leve premiali. A questi è richiesto di sviluppare una cultura manageriale fondata sulla interlocuzione con le risorse gestite e, a livello di team direzionali, sulla condivisione dei criteri che ispirano le scelte gestionali così come sulla coerenza nella loro applicazione.

Ci rifiutiamo infine di pensare che l’opinione dell’Amministrazione sui capi struttura sia talmente bassa da ritenere che gli stessi abbiano abdicato al compito di differenziare meritevoli e non, in cerca di un facile e irresponsabile consenso generalizzato.

Tendiamo più a pensare che si sia trattato di un “involontario scivolone”.

Di sicuro, la scelta unilaterale di ridurre i budget dei livelli per il primo anno – che abbiamo fortemente criticato – non può che comprimere ulteriormente i margini dei gestori, ai quali viene anche comunicato che “a partire da quest’anno si dovrà [come? moral suasion? meccanismi coercitivi?] andare verso un pieno utilizzo del budget per il primo anno”, con una coperta sempre più corta. Ma le scelte valutative non erano state decentrate? Probabilmente, enunciare cosa “dovranno” fare i gestori forse non è proprio in linea con il “ruolo centrale delle scelte” che a questi è stato attribuito.

È per questo che proponiamo che l’Amministrazione incontri i Capi dei Servizi e delle Filiali per approfondire le problematiche affrontate nell’assegnazione dei livelli, capire perché la maggior parte di loro abbia adottato determinate scelte, ascoltare (NB: non solo sentire) le loro ragioni, ribadire la fiducia nel loro senso di responsabilità. Questo incontro sarebbe utile se avvenisse non su base bilaterale, struttura per struttura, bensì come un’occasione di confronto collettivo, perché le criticità sono spesso comuni e le soluzioni vincenti per superarle possono utilmente essere condivise.

Chiediamo quindi alla Banca di riflettere sull’opportunità di organizzare sulla questione un evento ad hoc, forse inconsueto per le prassi del nostro Istituto, ma che potrebbe risultare estremamente efficace non solo sotto il profilo della comunicazione e della partnership  tra Amministrazione e titolari delle strutture, ma anche dal punto di vista del comune obiettivo di dare concretezza, in maniera convinta e non imposta, allo spirito della riforma delle carriere.

Siamo certi che questa proposta verrebbe letta come utile a stemperare quell’inevitabile disorientamento che una comunicazione non proprio elegante ha causato e per dimostrare, nei fatti, che l’Amministrazione, anche ai livelli più alti, è davvero convinta che la cultura manageriale debba essere fondata sulla interlocuzione, sulla condivisione dei criteri che ispirano le scelte gestionali e sulla coerenza nella loro applicazione. Mai come in questo caso l’ascolto attivo consentirebbe di evitare di concentrare l’attenzione su un solo punto di vista o su ciò che si giudica giusto o sbagliato; al contrario consentirebbe di rimanere in contatto con le difficoltà, le ragioni e le idee di chi svolge ogni giorno l’importante ruolo di gestore delle risorse e dedica attenzione e impegno soprattutto nei confronti dei colleghi più giovani.

Nel difficile tentativo di rispettare la regola aurea dell’unicuique suum tribuere, piuttosto che l’applicazione ferrea di percentuali calate dall’alto.  

Roma, 27 gennaio 2023 Il Comitato di Presidenza

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